Patriarcato

Se qualcuno o qualcuna vi dice che questi sono tempi brutti, chiedetevi di chi è questo pensiero. Potrebbe essere di vostra suocera dopo tre ore di coda alla USL, di un intellettuale che ha perso la strada e non sa più dove si trova, dell'amica che presta la sua opera in un campo profughi, di un adolescente in difficoltà con la scuola e la vita... E poi lasciatelo entrare, questo pensiero, e prestategli l'attenzione che vi pare giusta, ma non fategli prendere il posto che è e deve restare di un altro pensiero: questi sono i tempi della fine del patriarcato, dopo quattromila anni di storia e chissà quanti di preistoria. E' finita! E' finita! E' finita! Può darsi che questa non sia la forma precisa del vostro pensiero e può darsi pure che questo non sia il vostro pensiero, ma se gli farete un posto, oltre a trovarvi con un timpano in più per i mille discorsi intorno ai nostri tempi, avrete dato un riparo simbolico al corpo femminile, senza il quale io temo che non ci sia un limite alla prevaricazione.

Lo scopo di Via Dogana 23 non è discutere o dimostrare la fine del patriarcato ma, semplicemente, fare un posto a questo pensiero. La realtà che cambia, senza che abbiamo registrato il cambiamento, rischia di fare solo confusione nelle teste. Ci sono femministe, persone bravissime, che bruciano di desiderio del cambiamento e non si accorgono che il cambiamento è in corso. Come mai? Forse le cose sono andate troppo in fretta, è una risposta, ma non va, perché il patriarcato ha cominciato a finire almeno duecento anni fa (Jane Austen, Leopardi) o settecento (Guglielma Boema). 0 forse le cose non sono veramente cambiate, è un'altra risposta, seguita solitamente da un elenco, purtroppo lungo e vero, di sventure e ingiustizie che si abbattono sulle donne in ogni parte del mondo. Risposta insidiosa, che mette avanti solo la sofferenza, con il risultato di privarci dell'intelligenza della realtà che sta cambiando favorevolmente al sesso femminile. 0 forse, altra risposta, le cose desiderate non arrivano come le abbiamo aspettate e capita cosi che non vengano riconosciute proprio da chi le aveva aspettate e anticipate. Ma non sarebbero arrivate se non fossero state desiderate e anticipate, questo va detto.Se qualcuno vi dice che tutto dipende dalprofonde trasformazioni del sistema produttivo, sappiate che non è vero, perché non è mai successo che il sistema produttivo abbia cambiato se stesso e i nostri modi di vivere senza l'azione di desideri messi in pratica e in parole. La fine del patriarcato dipende, certo, da fatti materiali esterni (anticoncezionali, mercato del lavoro...) ma insieme a fatti materiali interni (pratica di rapporti fra donne, amore femminile della libertà...) e fatti morali, come il coraggio e la creatività di quelle che ci hanno aperto la strada. Da anni, anzi da secoli e forse da millenni, vi sono state donne che hanno desiderato la fine del controllo maschile sul corpo femminile fecondo. E che hanno agito e parlato di conseguenza, pronte a cogliere o inventare ogni occasione per avanzare in questo senso, dal fidanzamento con Gesù alla psicoanalisi, dai pellegrinaggi all'UDI, dal lavoro di fabbrica allo studio indefesso, dalla pillola al gruppo femminista.

Come mutazione sociologica, la fine del patriarcato ha chiesto e chiederà ancora tempo e forze. Ma il fatto simbolico di un corpo femminile non più destinato all'uso privato familiare o sociale deciso da uomini, è qui davanti a voi, nella verità indistruttibile di queste parole. La cosa è fatta. E' finita. Non è una crisi, è una fine. In questo mondo unificato, un evento simile non è che qui accade e là non può accadere. La Conferenza del Cairo 1994, del resto, lo ha dimostrato e lo dimostrerà anche, ho fiducia, quella imminente di Pechino.

Ma se a voi pare che non è accaduto tutto né molto di ciò che avete desiderato per voi stesse, le vostre figlie, le vostre simili che vivono vite più difficili, se pensate che restano aperti problemi e drammi troppo grandi per autorizzare salti di gioia, non oso contraddirvi. Vi suggerisco però di prestare attenzione alle sofferenze risparmiate. Fino a pochi decenni fa, nel mondo intero, la donna che restava incinta senza essere sposata, era esposta, poco o tanto, alla vergogna sociale. Oggi, non succede, e dove succede ancora, è diventato possibile, a una maestra di scuola, a una suora, a un'assistente sociale, a una sorella maggiore... impedire il ripetersi di una simile barbarie che, nella mia giovinezza, mi riempiva di orrore. Perciò oggi mi sento di fare salti di gioia.

E se qualcuno, dall'alto di una cattedra o dallo schermo della televisione, piange o predica sulla bruttura dei nostri tempi imputandola alla crisi dei (suoi) valori, vi suggerisco di scusarlo, pensando all'angoscia della maschilità nella sua difficile transizione dal privilegio sessista a un dove ancora tutto o quasi da disegnare. Ma, certo, dovevano essere "valori" strani e ambigui se la mia, tua, femminile libertà li ha messi in tanta crisi. 

Luisa Muraro

su ''ViaDogana'' ....

Salti di Gioia - Luisa Muraro

La fine del patriarcato

  SALTI DI GIOIA

   di Luisa Muraro

    su Via Dogana n°23 - Milano 1995

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E' ACCADUTO NON PER CASO - Sottosopra ROSSO 1996

E' ACCADUTO NON PER CASO: SOTTOSOPRA ROSSO - GENNAIO 1996.
"C'è oggi un essere al mondo - di donne, ma non esclusivamente - che fa vedere e dire, senza tanti giri o ragionamenti, che il patriarcato è arrivato alla fine; è un essere al mondo essendo disponibili alla modificazione di sé in un rapporto di scambio che non lascia niente fuori gioco. Potremmo chiamarla leggerezza. Oppure, libertà femminile.

SOTTOSOPRA
GENNAIO 1996

E' ACCADUTO NON PER CASO

il patriarcato è finito - il simbolico che ride - uomini - l'universale come mediazione - fino a quando?- un discorso poco plausibile ma urgente - al posto dell'io/noi/loro - il luogo della libertà -"yo no soy para más de parlar" - è accaduto


anche in 
TRADUZIONE SPAGNOLA 
a cura di María-Milagros Rivera Garretas


il patriarcato è finito

Il patriarcato è finito, non ha più il credito femminile ed è finito. E' durato tanto quanto la sua capacità di significare qualcosa per la mente femminile. Adesso che l'ha perduta, ci accorgiamo che senza non può durare. Non si trattava, da parte femminile, di un essere d'accordo. Troppe cose furono decise senza e contro di lei, leggi, dogmi, regimi proprietari, usanze, gerarchie, riti, programmi scolastici... Era, piuttosto, un fare di necessità virtù. Che però adesso non si fa più, adesso è un altro tempo e un'altra storia, tanto che le cose decise senza e contro di lei, si sono messe a deperire, come se avessero sempre obbedito a lei. Che strano! Ma, forse, per i rapporti di dominio vale quello che vale per l'amore, che bisogna essere in due? Adesso lei non ci sta più, non è più la stessa: è cambiata, come si dice. Ma non dice abbastanza. Non si tratta infatti di un cambiamento qualsiasi.

C'è oggi un essere al mondo - di donne, ma non esclusivamente - che fa vedere e dire, senza tanti giri o ragionamenti, che il patriarcato è arrivato alla fine; è un essere al mondo essendo disponibili alla modificazione di sé in un rapporto di scambio che non lascia niente fuori gioco. Potremmo chiamarla leggerezza. Oppure, libertà femminile, perché, al suo confronto, i vantaggi del dominio patriarcale spariscono, agli occhi di lei e di lui. Simili vantaggi esistono, per esempio l'identità: il dominio offre identità a chi lo esercita ma anche a chi lo subisce, e molta servitù si perpetua proprio per il bisogno di identità. Il patriarcato che non fa più ordine nella mente femminile, deperisce principalmente come dominio datore di identità. Lei, ormai, non gli appartiene più; il resto seguirà, e già segue, a un ritmo che scombussola e che molti, che magari si credono più intelligenti, neanche afferrano.

Si potrebbe obiettare: se quello che dite è vero, com'è che non è evidente a tutti? Una cosa talmente grande, se è vera, dovrebbe essere evidente. Lo è, infatti, ma per essere vista domanda l'impegno di una presa di coscienza. Lo è ogni giorno di più. Fino a un anno fa si poteva ancora credere che si trattasse di un cambiamento culturale e limitato al mondo industrializzato ricco. Con la Conferenza del Cairo (1994), con il Forum di Huairou e la concomitante Conferenza di Pechino (1995), è diventato chiaro che la fine del patriarcato sta coinvolgendo tutti i paesi del mondo, un mondo attraversato, quasi di colpo e insieme, da enormi cambiamenti, fra i quali c'è anche la fine del patriarcato. Vuol dire che è finito, o comincia a finire, il controllo del corpo femminile fecondo e dei suoi frutti, da parte dell'altro sesso. Hanno contribuito a questo esito lo sviluppo economico, che ha sciolto molti vincoli di dipendenza familiare, e la medicina, con la riduzione della mortallità infantile e i metodi anticoncezionali, per quanto grossolani e criticabili. Ma il progresso economico e scientifico di suo non avrebbe significato libertà se non fosse stato accompagnato dalla presa di coscienza femminile e, cosa più importante, non fosse stato preceduto e quasi anticipato dall'amore femminile della libertà. Quando gli esperti e i responsabili dei problemi demografici si sono decisi ad interrogare le donne, che cosa hanno scoperto? Che c'è una diffusa (e disattesa) domanda femminile di cultura e di aiuti per poter abitare liberamente il proprio corpo fecondo. Tanti soldi sono stati spesi in campagne demografiche talvolta poco rispettose della dignità umana (come dare soldi a chi si faceva sterilizzare), che potevano essere impiegati meglio andando incontro alla domanda femminile di autonomia fisiologica.

Per il Forum di Huairou, che riuniva le organizzazioni femminili non governative, si è parlato di un "nuovo femminismo". L'espressione è giusta per la vasta rete di rapporti internazionali e intercontinentali, che in verità esisteva dagli inizi del femminismo ma che a Huairou (e, ancor prima, al Cairo) ha mostrato una migliore capacità di oltrepassare contrapposizioni e fossati di una storia prevalentemente maschile, come quella fra paesi ex-colonizzatori e paesi ex-colonizzati. Sarebbe invece sbagliato parlare di nuovo femminismo per la volontà di rafforzare la presenza di donne nel governo del mondo non in nome della parità con l'uomo, ma in nome della differenza femminile. L'atteggiamento femminista non è mai stato rivolto unicamente (né principalmente, per quel che riguarda l'Italia) al confronto con la condizione maschile, ma al senso libero della differenza femminile, che è stato conquistato, passo passo, non con lo strumento legislativo, ma con la pratica di relazione fra donne.  

Chi vuole documentarsi, legga gli scritti dell'italiana Carla Lonzi (1931-1982) e Le tre ghinee (1938) di Virginia Woolf. L'impegno di dare un senso originale, libero, alla differenza di essere donne, va detto che è più antico dei progressi scientifici, più del femminismo e più della rivoluzione borghese. Come non c'è soluzione di continuità fra Huairou-Pechino e gli scritti di Carla Lonzi o Il secondo sesso (1949) di Simone de Beauvoir o Susan B. Anthony (1820-1906), soprannominata da Gertrude Stein "la madre di tutte e tutti noi" (The Mother of Us All), così c'è continuità anche con le Preziose del Sei-Settecento, con le Beghine del sec.XIII, con Ipazia d'Alessandria, la filosofa martire della convivenza fra cristianesimo ed ellenismo, trucidata nel 415 d.C. da cristiani fanatici.

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