Quali (e quante) le posizioni nel movimento

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Venerdì 7 aprile 1978

Quali (e quante) le posizioni nel movimento

di Norma Rangeri

La questione dell’aborto, da quando è uscita dall’ambito della riflessione del movimento ed è diventata oggetto di discussione fra le forze politiche, da quando cioè il problema della procreazione è diventato fatto da regolamentare giuridicamente, ha prodotto nel movimento delle donne divisioni e contrapposizioni.

E in questi tre anni (da quando cioè nell’aprile del ’75 la commissione giustizia e sanità si occupò del problema) le differenze interne al movimento delle donne non sono diminuite e continuano a travagliarlo. Riassumerle schematicamente è assai difficile dal momento che sono strettamente legate al tipo di elaborazione e soprattutto di esperienze pratiche che in questi anni il movimento ha fatto. A questo va aggiunto che la battaglia sull’aborto, coinvolgendo schieramenti politici e equilibri parlamentari, ha messo a dura prova l’autonomia del movimento. Alle differenze fra i vari gruppi organizzati /Udi, Mld) vanno perciò aggiunte quelle di ogni collettivo (con la sua storia e la sua pratica specifica) rispetto agli altri. Insomma una mappa delle posizioni del movimento delle donne sull’aborto risulterà in ogni caso parziale. Proviamo a tracciarla.

L’orientamento più chiaro è quello dell’Udi. Questa organizzazione, infatti, da sempre abituata a gestire un rapporto con le istituzioni, ha avuto fin dall’inizio un atteggiamento di accettazione critica nei confronti della legge.

Le donne dell’Udi hanno condotto una battaglia anche nei confronti del Partito comunista ogni volta che questo prospettava una disponibilità a rimetterlo in discussione per andare incontro alle richieste democristiane. A questo proposito l’Udi ha detto chiaramente che qualsiasi peggioramento sull’attuale legge sull’aborto sarà respinto non escludendo, ma anzi minacciando, un ricorso al referendum.

Altrettanto chiara, e in certa misura speculare, è la posizione dell’Mld, che in pratica fa proprie le parole d’ordine del partito radicale: referendum, depenalizzazione, nessuna legge, nessun rapporto con le istituzioni ad eccezione di quello del referendum. Al di là di chi ha lanciato queste parole d’ordine, dire «nessuna legge sul corpo delle donne» registra consensi all’interno del movimento. E non solo perché elude il rapporto con le istituzioni politiche: dietro c’è per molte l’idea che le esperienze di autogestione dell’aborto (e della salute) non possono comunicarsi in nessun modo alle strutture pubbliche. L’unica pratica riconosciuta e generalizzabile sarebbe insomma l’aborto nei gruppi di self-help, che in questi anni hanno permesso a molte donne di abortire. Ma questa scelta non tiene conto delle lacerazioni delle crisi e dell’isolamento di cui proprio i nuclei di autogestione dell’aborto in questi anni hanno sofferto, ridotti, spesso, a pura e massacrante erogazione di un servizio.

Sono però molti i collettivi – compresi quelli che sulla pratica dell’aborto sono nati – che oggi propongono, rispetto al problema della legge, un’altra strada, quella di non dare battaglia per fronti contrapposti, su una legge o sul referendum, ma sui contenuti dell’autodeterminazione, della gratuità e dell’assistenza. Partendo dal presupposto che in ogni caso una legge non può riflettere la ricchezza e la drammaticità di un problema che tocca la donna nelle sfere più profonde della sua esistenza, si afferma che l’unica via per il movimento è quella di condurre una battaglia perché alcuni punti irrinunciabili siano tenuti presenti da chi ha il compito di registrarli giuridicamente.

Non a caso a sostenere questa posizione, almeno a Roma, è il Coordinamento dei consultori, che raggruppa quelle donne che da tempo sono impegnate in una lotta tesa a far entrare nei consultori pubblici i contenuti e le esperienze di autogestione dell’aborto e della salute, fatte nei collettivi. Un tentativo, cioè, di avviare un rapporto con le istituzioni (questione a lungo dibattuta nel movimento) più vicine alle donne in particolare con quelle deputate a gestire il problema della salute (ospedali, consultori e classe medica). Indubbiamente questa è la posizione più difficile, soggetta a tutti gli attacchi. Ma è l’unica che finora ha permesso di condurre unitariamente la discussione e le passate mobilitazioni sull’aborto. Oggi questo processo incontra ostacoli ancor più grandi che in passato, ma gran parte del movimento è decisa a continuarlo.

 

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